“Ci sono tanti aspetti divertenti: il gioco di parole,
la presa in giro dei preconcetti, la commedia degli equivoci, il modello
raffazzonato di personaggi spassosi quanto improbabili”. Sono parole del
giornalista Massimo D’Antoni, pronunciate nel corso della presentazione del
romanzo umoristico “Mafia Ridens (ovvero il giorno della cilecca)”, al
Carnevale di Sciacca 2014, nel cui programma generale era un evento collaterale.
La presentazione
si è svolta, con successo di pubblico, all’interno del Circolo di Cultura di
Corso Vittorio Emanuele, alla presenza dell’autore Raimondo Moncada.
“Diventa esilarante nel libro – ha detto Massimo D’Antoni – il
tentativo di pretendere il pizzo finendo col pagare chi si voleva taglieggiare.
Ed è divertentissimo il ‘briefing’ durante il quale i due protagonisti,
Calogerino e Pasqualino, studiano le varie ipotesi di attività illecita da
compiere”.
Per parlare del romanzo pubblicato da Dario Flaccovio
Editore, Massimo D’Antoni ha cominciato la sua relazione citando due attori
straordinari, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, alla cui memoria è dedicato il
libro. D’Antoni è partito dal film “I due mafiosi” che Franchi e Ingrassia
girarono nel 1964, “in cui queste straordinarie icone popolari presero
sonoramente in giro la mafia”. Ma non possiamo negare, ha sottolineato Massimo
D’Antoni, che esistono personaggi in carne e ossa protagonisti di “scene
drammaticamente reali – in interrogatori o confronti processuali - in cui
vengono fuori situazioni irreali, perfino comiche”.
E’ chiaro che un libro come “Mafia Ridens”, ha detto
D’Antoni, “possa scriverlo solo un siciliano”. “Solo se lo scrive uno nato in
Sicilia il valore che la narrazione acquista è quello dell’ilarità. Immaginate se un libro simile lo avesse scritto un veronese o un toscano. Si sarebbe gridato allo scandalo perché non si sarebbe colto un aspetto essenziale,
quello dell’autoironia”.
Il protagonista del romanzo è quello che potremmo definire “u babbu du paisi”. “È un pazzo ben poco naif – ha spiegato D’Antoni – in possesso
dell’indole tipica di chi probabilmente fa il fesso per non pagare le tasse. E
a scanso d’equivoci l'autore ne vezzeggia il nome. Non Calogero, ché uno rischierebbe di
non capire, ma Calogerino che dopo aver visto il film ‘Il Padrino’ si
invaghisce del fascino di Marlon Brando e attribuisce alla mafia, ma
essenzialmente alla paura che della mafia la gente ha, il suo modello di
riscatto da anni di oblio, con un’anima assolutamente corrotta dalla
televisione e da una inoperosità organizzata in modo scientifico. Calogerino è
stanco di essere preso in giro e pretende il rispetto dovuto. Perfino i suoi
genitori lo scherniscono. E lui vuol diventare mafioso perché così gli altri lo
temeranno”.
Massimo D’Antoni ha concluso il suo intervento con due
domande: La mafia fa ridere? Si può ridere di mafia? Domande non lasciate in
sospeso.
“Io penso – ha detto D’Antoni – che si possa
ridere della mafia perché facendolo ridiamo di noi stessi e dei nostri difetti.
Il romanzo ‘Mafia ridens’ fa questo. Demolisce il totem mafioso ma al tempo
stesso demolisce la stessa società siciliana. Ridere della mafia corrisponde a
prenderne le distanze”.
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